Il museo ferroviario è stato realizzato laddove sorgeva il Reale opificio borbonico di Pietrarsa, struttura concepita da Ferdinando II di Borbone nel 1840 come industria siderurgica e dal 1845 come fabbrica di locomotive a vapore. L'attività ebbe inizio con il montaggio in loco di sette locomotive, utilizzando le parti componenti costruite in Inghilterra secondo uno dei precedenti modelli inglesi acquistati nel 1843. Il 22 maggio di quell'anno, Ferdinando II emanò un editto nel quale riportava: «È volere di Sua maestà che lo stabilimento di Pietrarsa si occupi della costruzione delle locomotive, nonché delle riparazioni e dei bisogni per le locomotive stesse degli accessori dei carri e dei wagons che percorreranno la nuova strada ferrata Napoli-Capua».
Nel 1853 a Pietrarsa prestavano la loro opera circa 700 operai, rendendo l'opificio il primo e più importante nucleo industriale italiano oltre mezzo secolo prima che nascesse la Fiat e 44 anni prima della Breda[1].
La struttura ebbe varie visite importanti, fra cui lo zar di RussiaNicola I, che manifestò l'intenzione di prendere Pietrarsa a modello per il complesso ferroviario di Kronstadt, e papa Pio IX nel 1849.
Con l'Unità d'Italia, dal 1861 l'opificio di Pietrarsa entrò in una fase difficile. Una relazione dell'ingegnere Grandis, voluta dal governo piemontese, dipinse molto negativamente l'attività e la redditività dell'opificio consigliandone la vendita o la demolizione[1]. L'anno dopo avvenne la cessione della gestione alla ditta Bozza, che portò alla riduzione dei posti di lavoro, a scioperi e gravi disordini repressi nel sangue: in particolare, il 6 agosto 1863 una carica di bersaglieri provocò sette morti e 20 feriti gravi[1]. Tuttavia, nonostante la parziale dismissione degli impianti, nel successivo decennio vennero prodotte oltre 150 locomotive. Il ridimensionamento di Pietrarsa continuò sino alla riduzione a 100 dei posti di lavoro finché nel 1877 lo Stato assunse direttamente la gestione sotto la direzione dell'ingegnere Passerini risollevandone le sorti e migliorandone la produttività; da allora e fino al 1885 vennero prodotte ulteriori 110 locomotive, oltre 800 carri merci e quasi 300 carrozze viaggiatori oltre a parti di ricambio per rotabili.
Nel 1905, in seguito alla statalizzazione delle ferrovie, l'opificio entrò a far parte delle infrastrutture primarie delle nuove Ferrovie dello Stato divenendo una delle officine di Grandi Riparazioni specializzata in particolare nel settore delle locomotive a vapore[1].
Con l'avvento dei nuovi sistemi di trazione elettrica e poi diesel, ebbe inizio il lento ma inesorabile declino, culminato il 15 novembre 1975 con il decreto di chiusura e la decisione di fare di Pietrarsa un museo ferroviario a tutti gli effetti, sfruttando i vecchi capannoni della prima fabbrica di locomotive d'Italia. L'inaugurazione avvenne il 7 ottobre 1989 in occasione del 150º anniversario delle ferrovie italiane. Successivamente chiuso per un lungo periodo di ristrutturazione, il museo è stato riaperto il 19 dicembre del 2007.
Esposizioni
Costituito da sette padiglioni per un'estensione complessiva di circa 36.000 metri quadrati, dei quali 14.000 coperti, il museo ospita locomotive a vapore, locomotive elettriche trifase, locomotive a corrente continua, locomotori diesel, elettromotrici, automotrici e carrozze passeggeri. Il primo padiglione è stato delegato alla conservazione dei mezzi del passato, a iniziare dalla ricostruzione storica del primo convoglio della Napoli-Portici, per seguire con le locomotive a vapore e i locomotori elettrici trifasi.
Il secondo padiglione raccoglie una vasta rappresentanza di rotabili e carri in scala ridotta, nonché plastici e oggetti di uso comune in ferrovia.
Il terzo padiglione è diviso in tre settori che ospitano vecchi macchinari della ex officina, un settore navale con modelli e oggetti vari, nonché locomotive rappresentanti il “passato prossimo” e cioè automotrici diesel ed elettriche, carrozze e locomotori elettrici a corrente continua. Interessante è il treno Reale, convoglio di undici vagoni, costruito nel 1929 per le nozze di Umberto II di Savoia con Maria José del Belgio, mentre di recente è stata acquisita una vettura presidenziale offerta nel 1989 da Francesco Cossiga.
Oltre ai treni, il museo ospita anche materiali di belle arti e arti applicate, come l'imponente statua di Ferdinando II di Borbone, opera fusa in ghisa nello stesso opificio, il Salone reale in stile liberty con soffitto in oro zecchino e tavolo in mogano esotico, e la carrozza-salone del treno dei Savoia, rinominato "Treno della Presidenza della Repubblica Italiana".
Locomotiva Bayard, riproduzione del 1939, costruita a memoria della locomotiva e del treno inaugurale della Ferrovia Napoli-Portici. Costruzione Longridge, anno 1839, numero di fabbrica 120. Venne costruita la Bayard perché era l'unica di cui si disponessero i disegni, anche se la macchina dell'inaugurazione era la Vesuvio.
Locomotiva a vapore 290.319. Costruzione Officine Meccaniche di Saronno, anno 1912, numero di fabbrica 489. Prima locomotiva entrata nella sede del Museo il 3 aprile 1982[4] dopo il viaggio di trasferimento da Roma Trastevere (dove la locomotiva era stata restaurata) avvenuto tra il 2 ed il 3 aprile.
Locomotiva a vapore 477.011. Costruzione Erste Böhmisch-Mährische Maschinenfabrik, Praga, anno 1904, numero di fabbrica 120.
Locomotiva a vapore 740.115. Costruzione Breda, anno 1914, numero di fabbrica 1492. Trasformata in 741.115 Franco-Crosti nel 1959 e ritrasformata in 740, essendo stata una delle locomotive che trainarono il treno del Milite Ignoto[5][6].
Locomotiva a vapore 741.137. Costruzione Ansaldo, anno 1914, numero di fabbrica 1081, come 740.137. Trasformata in 741.137 Franco-Crosti nel 1959.
Locomotiva a vapore 744.118. Costruzione OM, anno 1928, numero di fabbrica 883. Dal 2005 circa è ricoverata presso il DRS di Pistoia in attesa di restauro.
Locomotiva a vapore 940.036 (costruzione Reggiane,1922), esposta da agosto 2018[7], sezionata all'altezza di caldaia e fascio tubiero, con biellismo funzionante mosso da motore elettrico occultato. Esposta per fini didattici ed esplicativi del funzionamento di una locomotiva a vapore.
Locomotiva elettrica E.626.005, a corrente continua 3 kV. Ultima superstite dei prototipi E.626.001-014 in condizioni vicine allo stato d'origine. Entrata a far parte della collezione del Museo a seguito di una campagna di sensibilizzazione condotta dalla stampa specializzata[9][10].
^L'album delle Locomotive a vapore, I, Albignasego, Duegi Editrice eGroup, 2005. Ristampa del catalogo ufficiale edito dalle Ferrovie dello Stato nel 1915 in due volumi Locomotive ed Automotrici in servizio ed in costruzione al 30 giugno 1914.